‎"Il buon giornalismo sa che i fatti non sono mai al sicuro nelle mani del potere e se ne fa custode nell'interesse dell'opinione pubblica"
Giuseppe D'Avanzo

21/04/11

Se non ora quando? Ad Altavilla mai.

Domenica sono state consegnate le tanto attese liste. Senza soffermarci sull’esclusione della lista Gallo, che pure ha dell’incredibile, quello che è subito saltato agli occhi dell’osservatore attento è l’assoluta mancanza di “quote rosa”. Tre liste presentate per un totale di 38 nomi di cui 38 maschili e zero femminili. Sollecitato ad esprimere l’opinione di chi il territorio lo conosce nelle viscere, Oreste Mottola ha azzardato tre motivazioni. Alcune si sarebbero rifiutate perché non veniva proposto loro un “effettivo protagonismo” ma anzi di essere paravento per mariti e padri impresentabili. Rinuncia che sa di vittoria a prescindere. Un punto per queste. Ad Altavilla, secondo il giornalista, nessuno lavora per dare visibilità alle operose che valgono. Le donne però, si sa, il primato lo devono addentare e non attendere la grazia divina che difficilmente arriverà. Ritiriamo il punto concesso. Chi ha potuto si è trasferita da tempo fuori e Oreste evita di fare i nomi della sfilza di giornaliste, attrici, docenti universitarie che formate altrove sarebbero ben disposte a far confluire le loro competenze nel paese natio. Ma per carità! Tuonerebbe qualcuno. Dobbiamo lasciare il paese in mano a chi ha preferito spiccare il volo verso altre mete piuttosto che marcire in cerca di occupazione nella terra desolata - per dirla alla Eliot - ma propria? Con quale diritto queste indegne che hanno studiato alla Sapienza o alla Bocconi, che hanno occupato poltrone dirigenziali o sedie di aule magne, che hanno tappezzato pareti di attestati, diplomi di specializzazioni, master e dottorati, con quale diritto - dico - si propongono per tentare - insieme ai locali - di salvare il salvabile? In una recente intervista, Livio Garzanti, ha dichiarato di aver trovato un’Italia splendida al suo ritorno dalla guerra. “Sono ancora abbagliato dal ricordo di ciò che era Milano e l’Italia negli anni feroci e miracolosi fra il 1946 - 47 e i Sessanta. Cominciava l’era di De Gasperi che aveva stile. Si era formato all’estero, come d’altronde Togliatti”. Si era formato all’estero e rientrò portando con sé un nuovo modo di intendere la politica. Ad Altavilla non glielo avrebbero permesso. “Vene a fa ‘u maestro cà”, mi sembra di sentirli! È davanti a questi che qualcuna si arrende. Altre no, nonostante le parole urlate cadano nel vuoto di un’esistenza da higlander. Decisa è stata la reazione di Diomira Cennamo alla lettura del programma di Gerardo Di Verniere (che fine ha fatto poi?), nel quale spicca, fra i punti irremovibili, la residenza sul territorio. Presenzialismo non sempre è vera presenza ha chiosato Cennamo ribadendo che nell’era del web i politicanti perdono tempo prezioso a selezionare in base all’indirizzo sulla patente. Ma sono altri discorsi. Fatto sta che, residenti e non, le donne questa volta hanno preferito voltarsi per non partecipare all’ennesima carnevalata o, meglio, spingere i mariti a candidarsi per poi, in caso di vittoria, giocare alle “first ladies”. Alfonso Verruccio discolpa la lista Gallo sostenendo che non si poteva costringerle e ha ragione. Perché la passione, la grinta, la rabbia per secoli di soprusi, la voglia di essere protagoniste della storia non si possono trasmettere. Si hanno e basta. E allora da queste elezioni ne usciamo tutte sconfitte. “Se non ora quando?” è il grido di battaglia che dal nove aprile accompagna le “donne indignate” su cui Anna Banti tanto ha scritto quando il premier ancora giocava con i soldatini, ma marciare non significa camminare una a fianco all’altra e gridare slogan per il tempo di un corteo. È altro. Oggi non posso che pensare alle partigiane, alle Belgiojoso, alle Woolf, Serao, Aleramo, alle Politkovskaja, alle Ilaria Alpi. No non ci sono giustificazioni.

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